Il campanaro
Anche per la nostra torre campanaria, arrivò alla fine degli anni novanta durante la sua completa ristrutturazione, il passaggio dalla gestione manuale a quella elettrificata, con la soppressione del mestiere di campanaro. Quest' antico mestiere (che un'arte) è stato, fino a quindici anni fa, un compito esclusivo della famiglia Tensi. Chi non ricorda il Bepo, il Germano e il Ceco, che era anche messo comunale? Queste persone, ormai defunte hanno segnato un'epoca. Tramandandosi lungo i decenni del secolo scorso, un'arte che è stata superata (ma anche mortificata) dall'avvento dell'era tecnologica. Essi avevano appreso il mestiere dal loro padre Beniamino un mestiere tramandato a voce e regolato ad orecchio secondo un vecchio rituale eternatosi fin dalla notte dei tempi. Le campane sono state per millenni il megafono dei quattro sentimenti fondamentali dell'animo umano: sapevano, infatti, comunicare alla collettività la gioia, il dolore, la paura e lo sdegno; a secondo delle situazioni in cui venivano a trovarsi le genti nei momenti di festa, di lutto, di pericolo e di riprovazione. Il suono della campana era un linguaggio esplicativo della vita nel borgo, ci si alzava al tocco dell'Ave Maria al sorgere del sole. per andare nei campi, si usciva dalle fabbriche all'Angelus, e alla sera, dopo i rintocchi del Vespero, meglio non importunare i gatti perché divenivano " bösger" (bugiardi). Il campanaro sapeva tutte queste cose, e talvolta, era avvertito degli accadimenti ancor prima del parroco


dal bollettino parrocchiale del 1973
nel comunicare con le sue campane al paese una morte, una nascita, un incendio, un minaccioso temporale e persino l'arrivo in municipio dell'esattore comunale cui si dovevano versare le tasse, i dazi, le gabelle. i prediali ed altre svariate imposte che gravavano sulla popolazione attiva. Nel muovere il concerto d'otto campane, Tensi Beniamino si faceva aiutare spesso dalla moglie Emma Rivellini, una vecchina dai capelli bianchi, che conosceva anche più del marito quali rintocchi suonare.
Non occorre ricordare la differenza che intercorre fra il suono di campane a martello (per segnalare un pericolo) da quelle per annunciare un mutrimonio, o per accompagnare una processione o un funerale, o ancora, per seguire le celebrazioni in chiesa al momento opportuno, ad esempio la consacrazione, o la benedizione annunciate col suono della martinella. Din, Don, "Telon, Dindon, Dondon, Telon, Diinnnn... Doonnnn; tutto il concerto di campane suonate a stormo, a distesa, alla romana, alla rovatta, d'allegrezza, il messaggio sonoro che arrivava lontano lontano e poteva servire da ottimo bollettino meteo per una società che sapeva riconoscere nella natura ogni cambiamento climatico. Ancora oggi, almeno da parte dei vecchi, è risaputo che se arriva a Telgate il suono delle campane di Grumello, il tempo cambierà al peggio (verissimo!). Ma il vecchio Tensi, che ha mantenuto quest'incombenza fino alla sua morte avvenuta nel 1973, era l'unico a sapere come si suonassero i gremm, meglio conosciuti come rintocchi grevi. Un rituale, questo, accompagnava il trasporto in chiesa e al cimitero di un sacerdote defunto. Era una sequenza complicata di suoni ottenuti dopo aver rovesciato in piedi il campanone. Occorrevano almeno otto robuste braccia per eseguire quel funereo concerto, perchè il campanone, dopo aver compiuto un ciclo completo, doveva essere fermato di nuovo in piedi afferrandosi, tutti insieme, alla corda in un preciso momento, mentre le altre campane intervallavano la cadenza;
una roba da raggelare il sangue. Chi scrive ricorda di aver sentito l'ultima volta suonare i gremm nel dicembre 1964 durante le esequie di don Vittorio Pontoglio, sacerdote residente a Telgate fin dal 1903. Oggi sarebbe impossibile suonare quella sequenza, perché le campane elettrificate non lo consentono di essere rovesciate in piedi. Se ormai la tecnica ha sostituito l'uomo in parecchie funzioni, L'ultimo Tensi conoscitore di tale arte per nostra fortuna c'è ancora; Vincenzo Tensi, nipote del vecchio Beniamino ha imparato da ragazzo a suonare a carillon le campane, picchiando i pugni sugli otto tasti di legno collegati ai batocchi. Dal 1990 non è più salito alla cella campanaria, tuttavia non disperiamo che in una prossima notte di Natale possa suonarci la "Pastorella" nel modo, come gli altri Tensi prima di lui, erano in grado di farcela sentire.

(dall’inserto dell’angelo in Famiglia n.1 di gennaio 2005)